martedì 25 febbraio 2014

Studio Berlin 2013

“Lo spirituale nell’arte” Wassily Kandisky


Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo, e spesso è madre dei nostri sentimenti.
Analogamente, ogni periodo culturale esprime una sua arte, che non si ripeterà mai più, Lo sforzo di ridar vita a principi estetici del passato può creare al massimo opere d’arte che sembrano bambini nati morti. Noi non possiamo, ad esempio, avere la sensibilità e la vita interiore degli antichi Greci. E se in cultura tentassimo di adottare i loro principi non faremmo che produrre forme simili alle loro, ma prive di anima. Come le imitazioni delle scimmie. Esteriormente i movimenti delle scimmie sono perfettamente uguali a quelle dell’uomo. Una scimmia sta seduta, tiene in mano un libro, lo sfoglia, assume un atteggiamento pensieroso, ma ai suoi movimenti manca un senso interiore. C’è però, necessariamente, un’altra somiglianza tra le forme artistiche. La somiglianza delle aspirazioni interiori e degli ideali (che un tempo erano stati raggiunti e poi vennero dimenticati), la somiglianza cioè fra i climi culturali delle due epoche può portare alla ripresa di forme che erano già state utilizzate in passato per esprimere le stesse tensioni. E’ nata così, per certi aspetti, la nostra simpatia e la nostra capacità di comprensione per i primitivi, che sentiamo così vicini. Come noi, questi artisti puri miravano all’essenziale e rinunciavano ai particolari esteriori. Ma, per quanto importante, questo è solo un punto di contatto. La nostra anima si sta risvegliando da un lungo periodo di materialismo, e racchiude in se i germi di quella disperazione che nasce dalla mancanza di una fede, di uno scopo, di una meta. Non è ancora svanito l’incubo delle concezioni materialiste, che consideravano la vita l’universo come un gioco perverso e senza peso. L’anima si sta svegliando, ma si sente ancora in preda all’incubo. Intravede solo una debole luce, come un punto in un immenso cerchio nero. E’ un presentimento che no ha il coraggio di approfondire, per paura che la luce sia un sogno, e il cerchio la realtà. Questo dubbio, e i traumi ancora vivi della filosofia materialistica, ci dividono nettamente dai “primitivi”. Nella nostra anima c’è un’incrinatura che, se sfiorata, risuona come un vaso prezioso riemerso dalle profondità della terra e che sia, appunto, incrinato. Per questo il primitivismo attuale, quasi sempre d’accatto, durerà poco. Come si vede, questi due tipi di affinità tra arte nuova e forme del passato sono diametralmente opposti. Nel primo caso si tratta di un’affinità esteriore e quindi senza futuro. Nel secondo di un’affinità interiore, densa di potenzialità. L’anima, tramontata l’epoca della tentazione materialista ( a cui stava per cedere, ma che ha superato proprio come si supera la tentazione) si risolleva, temprata dai conflitti e dalla sofferenza. Sentimenti rozzi come paura, gioia, tristezza, ecc.., che nell’epoca della tentazione potevano ancora costituire materia d’arte , interessano meno l’artista. L’artista cercherà di suscitare sentimenti più delicati, senza nome. La sua è una vita complessa, relativamente aristocratica e le sue opere daranno allo spettatore sensibile emozioni sottili, inesprimibili a parole. Attualmente però lo spettatore è quasi sempre incapace di emozioni. Nell’opera d’arte cerca una mera imitazione della natura a scopo pratico (ritratti e simili), o un’interpretazione, cioè una pittura “impressionistica” , o infine degli “stati d’animo rivestiti di forme naturali”, vale a dire un’atmosfera, una “stimmung”. Se queste forme sono veramente arte raggiungono lo scopo e diventano nutrimento spirituale, sia nel primo caso, sia soprattutto nel terzo caso, dove lo spettatore si immedesima nell’opera. Certo, l’immedesimazione (o la contrapposizione) non deve essere vacua e superficiale: anzi, l’atmosfera dell’opera deve rendere più coinvolgente e visionaria l’atmosfera in cui è immerso lo spettatore. In ogni caso queste opere impediscono all’anima di involgarirsi, e ne tengono viva la tensione come la chiave dell’accordatore tiene tese le corde di uno strumento. L’affinamento e la diffusione della loro voce nel tempo e nello spazio rimangono però un fatto soggettivo, che non esaurisce le potenzialità dell’arte.



Un edificio grande, grandissimo, piccolo o medio diviso in varie stanze. Alle pareti tele piccole, grandi, medie. Spesso, migliaia di tele. Su di esse il colore ha riprodotto frammenti di “natura”: animali in luce e in ombra, che bevono acqua, che stanno vicino all’acqua, sdraiati nell’erba; accanto ad essi una crocifissione dipinta da un artista che non crede in Cristo, fiori, figure sedute o in piedi o in movimento, spesso nude, molte donne nude (spesso viste in scorcio di schiena), mele e vassoi d’argento, il ritratto dell’eminenza grigia N., un tramonto, una signora in rosa, un volo d’anatre, il ritratto della baronessa X, un volo d’oche, una signora in bianco, vitelli all’ombra con macchie abbaglianti di sole, il ritratto di eccellenza Y, una signora in verde. Tutto è accuratamente riprodotto in catalogo: i nomi degli artisti, i titoli dei quadri. La gente tiene in mano i cataloghi, li sfoglia, legge i nomi passando da una tela all’altra. Poi se ne va, povera o ricca come è venuta ed è subito riassorbita dai suoi interessi che non hanno niente a che fare con l’arte. Perché è venuta?In ogni quadro è misteriosamente racchiusa un’intera vita, una vita piena di dolore e di dubbi, di ore d’entusiasmo e di luce. Dove va questa vita? Dove va l’anima dell’artista coinvolta nella creazione? Cosa vuole annunciare? “Illuminare la profondità del cuore umano è il compito dell’artista” dice Schumann. “Il pittore è un uomo che sa disegnare e dipingere tutto” dice Tolstoj. Tra le due definizioni dobbiamo scegliere la seconda, se pensiamo alla mostra che abbiamo descritto. Con maggiore o minore facilità, virtuosismo o brio, nascono sulla tela oggetti che hanno tra loro dei rapporti pittorici più o meno sottili. L’armonia d’insieme è la strada che conduce all’opera d’arte. Eppure quest’opera viene osservata con sguardi freddi e indifferenti. I conoscitori ammirano la fattura (come si ammira un acrobata) e gustano la pittura (come si gusterebbe una focaccia). Le anime affamate restano affamate. La grande massa gira per le sale e trova le tele “carine” e “meravigliose”. Chi poteva parlare non ha detto nulla e chi poteva udire non ha udito nulla. E’ questa “l’art pour l’art”. Per la sua abilità, per la sua capacità d’invenzione e di sentimento, l’artista cerca un compenso materiale. Vuole soddisfare la sua ambizione e la sua avidità. A un lavoro comune e profondo subentra la lotta per arricchirsi. Ci si lamenta della troppa concorrenza e della sovrapproduzione. Odio, faziosità, corporativismo, invidia, intrighi sono la conseguenza di quest’arte materialista e inutile. Lo spettatore si allontana inesorabilmente dall’artista che, non avendo per scopo quest’arte senza scopo, coltiva altri ideali. “Comprendere” significa capire il punto di vista dell’artista. Si è detto che l’arte è figlia del suo tempo. Un’ arte simile può solo riprodurre ciò che è “nettamente” nell’aria. L’arte che no ha avvenire, che è solo figlia del suo tempo ma che non diventerà mai madre del futuro, è un’arte sterile. Ha vita breve e muore moralmente nell’attimo in cui cambia l’atmosfera che l’ha prodotta. Anche l’altra arte, suscettibile di nuovi sviluppi, è radicata nella propria epoca, ma non si limita ad esserne un’eco e un riflesso; possiede invece una stimolante forza profetica, capace di esercitare un’influenza ampia e profonda. La vita spirituale, di cui l’arte è una componente fondamentale, è un movimento ascendente e progressivo, tanto complesso quanto chiaro e preciso. E’ il movimento della conoscenza. Può assumere varie forme, ma conserva sempre lo stesso significato interiore, lo stesso fine. Non sappiamo perché dobbiamo andare avanti col “sudore della fronte”, tra sofferenze, malvagità e crisi. Raggiunta una meta, eliminati  molti assi pericolosi dalla strada, una mano invisibile e crudele getta su questa strada nuovi blocchi, rendendola irriconoscibile. Allora però arriva un uomo che ci assomiglia, ma ha in se una misteriosa forza “visionaria”. Egli vede e fa vedere. A volte vorrebbe liberarsi da questa superiore capacità che per lui costituisce spesso una pesante croce. Ma non può. Fra scherno e odio trascina in alto il pesante carro dell’umanità, che oppone resistenza e si blocca fra i sassi. Poiché da tempo non c’è più traccia sulla terra del “io “ corporeo, si è cercato ostinatamente di rappresentarlo in scala monumentale con sculture di marmo, ferro, bronzo o pietra. Come se fosse il corpo a contare in questi divini servitori dell’umanità, in questi martiri  che disprezzano la fisicità e servirono solo lo spirito! In ogni caso la scelta del marmo dimostra che molto sono giunti dove era un tempo colui che oggi onoriamo.    

(a cura di Elena Pontiggia)

lunedì 2 gennaio 2012

Studio life


Studio Berlin 2012
Studio Berlin 2012 (Photo by Ornella Orlandini)
Studio Berlin 2012 (Photo by Ornella Orlandini)
Studio Berlin 2013

Renzo Marasca (photo by Michele Paradisi)